1. Conflittualità genitoriale e disagio dei figli
Una delle forme di abuso cui si sta recentemente prestando attenzione riguarda la violenza psicologica cui sono sottoposti i figli di genitori, la cui relazione di coppia sia estremamente conflittuale, un fenomeno che coinvolge un numero molto ampio di bambini. Nel Lazio le attuali statistiche mostrano che circa il 40% delle coppie sposate avrà un’unione che terminerà in un divorzio.

Ansie, timori, momenti depressivi sono sempre presenti nell’evoluzione normale del bambino, ma sono normalmente contenute, controllate e trasformate attraverso valide relazioni familiari. L’esplosione di un’intensa conflittualità e la rottura del legame tra i genitori fanno invece riemergere nel bambino, in modo patologico, ansie arcaiche, timori di abbandono, angosce persecutorie e depressive, causate dalla mancanza di punti di riferimento chiari e rassicuranti, costringendolo a cercare a qualsiasi prezzo la garanzia e la certezza di riferimenti affettivi stabili.

Questi importanti vissuti emotivi non sono specifici delle separazioni ma si ritrovano anche in condizioni di non separazione quando le relazioni familiari sono patologiche e patogene. In questi casi infatti le situazioni cliniche osservate non sono dissimili dalle situazioni di separazione conflittuale.

L’elemento patologizzante non è la separazione in sé, ma il tipo e la qualità di relazione che, da sempre presente nella storia di queste coppie, si slatentizza nel suo potenziale perverso e distruttivo durante e a separazione avvenuta. Nella maggior parte dei bambini osservati all’interno dell’U.O. di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, le radici del disagio risalgono alla gravidanza e ai primi anni di vita. Assenti dalla mente dei genitori fin dalla gravidanza, questi bambini continuano a restarne assenti, anche quando i genitori si separano, non venendo riconosciuti nella loro realtà e nei loro bisogni evolutivi.

In termini psicologico-relazionali si tratta di processi che iniziano molto prima che ci sia la notifica da parte dell’ufficiale giudiziario e che si concludono molto dopo che la causa sia effettivamente definita a livello giuridico.

2. Separazione e divorzio
La domanda che ci poniamo abitualmente è se e quanto l’evento separazione-divorzio sia dannoso per i bambini.

In alcuni studi riguardanti i bambini figli di genitori separati, confrontati con bambini figli di genitori non separati, è stato evidenziato che il principale stress subito si registra durante l’anno successivo alla separazione attraverso un calo del rendimento scolastico, disturbi del ritmo sonno-veglia, riduzione della socializzazione, ridotta frequenza del sorriso.

Risultati più gravi emergono dagli studi clinici eseguiti abitualmente dagli psicoanalisti o dagli psicologi relazionali: la conflittualità dei genitori porta ad un’evoluzione patologica della personalità del bambino, evidenziando una difficoltà a sviluppare relazioni intime.

Il danno è indirettamente avvalorato anche dalle statistiche sulla criminalità, dove le famiglie disgregate sono indicate tra i fattori che contribuiscono alla devianza giovanile.

Nelle separazioni conflittuali, i bambini sono oggettivamente a rischio di danno evolutivo perché sono strumentalizzati ai fini della separazione dei genitori e della richiesta di risarcimento, economico e psicologico, che ne deriva. Queste coppie tendono a perdere qualsiasi tipo di rapporto sereno con l’ambiente circostante: tutto è finalizzato esclusivamente a vincere la causa, poiché il meccanismo legale pone la questione in termini di vittoria o di sconfitta, senza altre scelte possibili. Viene utilizzato tutto quello che può essere messo in atto per vincere la causa, compresi i bambini. Una tipica strumentalizzazione in queste situazioni è ad esempio quella di non far vedere il figlio al genitore che ritarda nel pagamento dell’assegno mensile.

In queste separazioni accade frequentemente che un genitore presenti l’altro come una persona cattiva, pericolosa, equivoca, disturbata, valutazioni ostentate davanti al bambino, costringendolo a scegliere e schierarsi dalla parte di un genitore, rifiutando contemporaneamente l’altro, una scelta che porta alla perdita affettiva di genitore e che viene vissuta dal bambino come un lutto da lui stesso causato.

Costretto a fare affermazioni in cui parla in termini esclusivamente positivi di un genitore o totalmente negativi dell’altro, il bambino non attacca solo il genitore reale, ma anche la corrispondente immagine interna. Il genitore che favorisce questi atteggiamenti scissi, non si rende conto del proprio potenziale danneggiante, né comprende che quando il figlio si accorgerà di essere usato, la sua fiducia nel genitore ne sarà danneggiata e con essa anche l’immagine interna. In tal modo il vissuto di perdita e di danneggiamento, riguarderà le immagini interne di entrambi i genitori.

Quando un bambino è costretto a negare e a rinunciare a uno dei due genitori, non rinuncia solo alla persona fisicamente percepibile, ma anche all’attivazione dell’immagine interna corrispondente a quella persona. La distruzione dell’immagine di un genitore si correla poi al danneggiamento dell’immagine dell’altro genitore.
I bambini non hanno bisogno dei genitori solo per essere accuditi nelle loro necessità concrete, ma necessitano di due genitori in grado di attivare i modelli interni del padre e della madre che, presenti come predisposizione interna, sono innescati dal rapporto reale. L’attivazione di questi modelli genitoriali interni, definiti da Jung (1935-54) “archetipi” è inoltre strettamente connessa ai modelli di maschile e femminile, plasmando il modo in cui il bambino vivrà le future relazioni affettive[1].

La distruzione delle immagini genitoriali determina importanti effetti negativi sulla personalità del bambino. L’esperienza clinica mostra come l’esclusione del genitore, la svalutazione del genitore allontanato, la continua messa in dubbio della fedeltà del bambino sono situazioni che, protratte nel tempo, portano allo sviluppo di numerose psicopatologie infantili. Per non essere sopraffatto dall’angoscia, il bambino utilizza spesso meccanismi difensivi di scissione e negazione, responsabili nei casi più gravi di strutturazioni psicotiche. I vissuti di perdita e lutto e le angosce abbandoniche orientano invece la personalità verso forme depressive.

La conflittualità e la separazione dei genitori innescano nel bambino molteplici vissuti e fantasie. Egli tende spesso a colpevolizzarsi per il divorzio dei genitori, continua a fantasticare la loro riunificazione, anche molto tempo dopo la ricostituzione di nuovi legami affettivi dei genitori con un nuovo compagno/a. Il restare idealmente legati alla precedente struttura familiare determina delle distorsioni cognitive della reale situazione affettiva dei genitori. Queste distorsioni possono essere ulteriormente aggravate dai tentativi di manipolazione effettuati dai genitori e/o dai parenti, che tendono a spingere i bambini da una parte o dall’altra, all’interno del conflitto genitoriale.

Quando poi il bambino è spinto a rinunciare all’incontro con il genitore non affidatario, spesso il padre, ciò non è dovuto al timore o al rifiuto delle sue caratteristiche personali e del loro rapporto, ma alla percezione di non potersi appoggiare a lui e alla paura di perdere l’appoggio del genitore affidatario, percepito non come il migliore genitore, ma come il genitore più forte.

Il rifiuto-perdita di un genitore è percepito dal bambino come un abbandono, ai suoi occhi inoltre il genitore è colpevole di non esser sufficientemente forte da non farsi escludere. L’introiezione di un vissuto di abbandono attiva poi l’ansia e il timore di essere abbandonato anche dall’altro genitore. Si innesca in tal modo una catena che porta ad una difficoltà o incapacità a stabilire rapporti affettivamente importanti per il timore di essere sempre abbandonati.

Un ulteriore problema, che emerge nelle separazioni conflittuali, è quello degli abusi sessuali. Recentemente si sta assistendo a un incremento delle accuse di abusi sessuali compiuti dal padre o dal nuovo partner della madre, oppure all’accusa di far assistere il bambino ai rapporti sessuali tra un genitore e il suo o i suoi partner. Queste accuse a volte hanno un fondamento di verità, a volte però sono la proiezione e l’attribuzione all’altro coniuge di proprie fantasie o paure, percepite come reali, altre volte sono invece una accusa consapevolmente espressa, anche se non vera, utilizzata per colpire, aggredire e danneggiare l’ex marito e in qualche raro caso la ex moglie. Il bambino/a, specie se di età prescolare, subisce le descrizioni del genitore accusante, vi si identifica, assumendole, come vere. In questi casi anche se non c’è stato un vero e proprio abuso sessuale, viene comunque operata una violenza psicologica.

Questi genitori sono informati ripetutamente che il loro comportamento porterà danni psicologici gravi al bambino, ma nonostante questo rischio perseverano nei loro comportamenti pur di soddisfare il rancore e la rabbia verso l’ex partner. Le false denunce sono la forma esasperata di un fenomeno più generale di attacco al partner, che si manifesta sistematicamente, potendo assumere varie forme, a volte più comunemente con la richiesta di un certificato di malattia per il bambino, come ad esempio un’influenza, in modo da impedire la visita al genitore non affidatario.
L’esasperazione e la non elaborazione dei vissuti negativi dei coniugi si iscrive, come già sottolineato, nella logica intrinseca del procedimento giudiziario che conduce a “vincere” o a “perdere”. Un atteggiamento contrapposto agli effettivi interessi di salute psicologica delle persone coinvolte, e in particolare dei bambini. La ricerca e la priorità attribuita agli aiuti legali e alle soluzioni giudiziarie determina spesso anche un utilizzo strumentale della consulenza psicologica o psichiatrica. Il bambino viene portato dal medico o dallo psicoterapeuta per poi riciclare questa iniziativa all’interno della conflittualità legale. L’interesse dei genitori per la salute psichica del figlio viene così subordinato alla ostinata richiesta delle cartelle cliniche o di certificati da utilizzare come carburante della loro lotta. I sintomi del figlio sono utilizzati per dimostrare quanto sia dannoso mantenere il rapporto con l’altro genitore, o per ridurre quanto più possibile gli incontri con il genitore non affidatario, facendo in modo che gli incontri siano impediti o non siano soddisfacenti per il bambino.

La sofferenza o i veri e propri sintomi che il bambino manifesta quando deve separarsi da un genitore, o quando torna a casa, dopo la frequentazione dell’altro genitore, possono essere riletti in modo distorto. Ad esempio, possono essere considerati un segnale che il bambino vuole rimanere con il genitore da cui si distacca (considerazione buona), o come la chiara dimostrazione che il figlio non vuole andare dall’altro genitore (considerazione cattiva); il disagio del bambino può anche essere letto come il segno di quanto sia nociva la frequentazione dell’altro genitore. In questi casi i genitori non si rendono conto che il disagio e i sintomi del bambino esprimono i sentimenti penosi che questi sperimenta quando, trovandosi al centro del conflitto dei genitori, si sente devastato dal senso di colpa di star bene con un genitore e dal timore che questo suo affetto e attaccamento offendano l’altro genitore.

L’iter processuale collude con le tendenze della coppia a relazionarsi in termini di giusto/ingiusto, bravo/inefficiente, vittima/carnefice; che spesso inasprisce il conflitto, innescando una escalation, in cui entrambi i genitori preferiscono illudersi di fare il bene del figlio attraverso il raggiungimento della vittoria legale, piuttosto che aiutarlo in termini medici e psicologici. Un intervento terapeutico che porti a un cambiamento del figlio li costringerebbe invece a rinunciare al suo uso e al suo possesso, e li solleciterebbe a guardarsi dentro e a chiedersi cosa sottende certe ostinate iniziative fatte in nome del bene dei figli.

Sebbene esistano delle eccezioni, ossia delle separazioni che per alcuni motivi possono essere affrontate solo attraverso un meccanismo giudiziario, questi casi rimangono numericamente esigui. La maggior parte dei fallimenti matrimoniali potrebbe essere agevolmente gestita in termini di mediazione familiare. Va quindi incoraggiata, anche negli ambienti legali e giudiziari, una cultura che promuova l’utilizzazione della consulenza psicologica per il disagio dei figli e delle coppie separate. L’obiettivo di queste consulenze è definire e valorizzare “lo spazio dei figli”, aiutando i genitori a rileggere il loro conflitto in termini di disagio psichico, disinvestendo le energie dalla battaglia legale e utilizzandole per gestire la separazione in modo da non danneggiare i figli.

di Francesco Montecchi tratto dal libro “Dal Bambino minaccioso al Bambino minacciato-Franco Angeli-Editore 2005