Fate una esperienza, se non l’avete già fatta: quando siete arrabbiati o ansiosi o tristi o preoccupati e cioè provate emozioni negative e di sofferenza, provate a scrivere e sperimentate come è la vostra scrittura e l’ortografia oppure mettetevi a leggere, probabilmente leggerete male, di malavoglia o vi sbagliate o non vi ricordate nulla di ciò che leggete. Certo, non è possibile dire che vi state ”deteriorando”; si potrebbe dire che, apparentemente, siete distratti, che non state attenti, perché il vostro pensiero e le vostre emozioni sono attratte altrove, da ciò che più vi sta impegnando. Ebbene, questo è ciò che succede anche ad un bambino (sano senza danni neurologici) che sta impegnandosi nell’apprendimento, nel leggere e scrivere.

Quando si attribuisce ad un bambino un DSA (Disturbo Specifico di Apprendimento), la convinzione collettiva è che si tratti di qualcosa di patologico che merita interventi correttivi. Per l’opinione pubblica e il contesto scolastico è molto difficile considerare che possano essere espressione anche di variabili che entrano nel range della norma in cui l’intelligenza e le capacità di apprendimento non centrano nulla.

Fino a trenta anni fa ogni cento gli scolari solo 5 erano riconosciuti con delle difficoltà nell’apprendimento, mentre oggi il numero è salito al 30 ogni cento,( anche per la maggiore attenzione che si pone, specie da parte della scuola),ma forse, con troppa leggerezza si dà la diagnosi di dislessia, disgrafia, ecc., o al contrario, a volte, con altrettanta leggerezza si confida sulla naturale risoluzione nel corso della crescita.

In realtà, dalle ricerche fatte da Di Rienzo e da Bianchi di Castelbianco, risulta che dei 30 bambini, solo dieci sono veri dislessici per i quali è necessaria una terapia specifica; per altri dieci si trova un disagio emotivo o familiare o sociale, ma anche in questi bambini è indispensabile un repentino trattamento, ma diverso dai dislessici veri. In questi casi curare il DSA è come curare solo la tosse nella polmonite. Per gli altri dieci bambini il problema è maturativo ed evolutivo: il passaggio dalla materna alle elementari li disorienta , non riescono a stare al passo degli altri bambini o alle richieste prestazionali degli insegnanti . Questi pur non essendo gravi sono in realtà i più delicati perché se il contesto scolastico e familiare non si sintonizza con il loro specifico ritmo interno si attiva in loro la convinzione che l’apprendimento è qualcosa di doloroso e faticoso, e viene minata la costruzione dell’autostima, e ciò va a rinforzare , a circuito chiuso, la loro difficoltà scolastica; le difficoltà emotive si intersecano con le difficoltà scolastiche che può prendere altre espressioni oltre al consolidamento della difficoltà di apprendimento.

Nei primi cinque anni di scuola i bambini fanno uno sforzo nell’apprendimento che non si ripeterà con quella intensità nel resto della loro vita in cui capacità intellettive ed emotive si intersecano in una sinergia indissolubile. Il funzionamento emotivo e il tono dell’umore modificano i processi, complessissimi, dei meccanismi del sistema nervoso centrale e periferico che sono alla base dei processi di apprendimento.

Se un bambino fa fatica mentre apprende (perché per lui quell’apprendimento è difficile), sperimenta un’emozione di paura; tutte le volte che rimetterà in memoria quell’apprendimento metterà in memoria sia quella fatica sia quell’emozione e stabilizzerà sia l’apprendimento che il mantenimento dell’emozione disfunzionale.

Quando un bambino, ad esempio, non è capace di leggere bene, sperimenta anche il senso di impotenza quando è impegnato nell’apprendimento: l’emozione che accompagna la funzione è antagonista al buon funzionamento. E’ per ciò che il soggetto che è impegnato nell’apprendere sarà più impegnato a sperimentare quali sono le emozioni, i circuiti vitali, che l’apprendimento determina e non riuscirà a preoccuparsi di come apprende, del contenuto, della forma della competenza dell’abilità o della prestazione.

Se tutto ciò non gli viene riconosciuto e viene pressato dalle aspettative prestazionali della scuola e/o della famiglia, la situazione si complica sia sul piano dell’apprendimento sia del funzionamento emotivo.
E’ per ciò che non è possibile tagliare a pezzi gli stati mentali cognitivi da quelli emotivi e da quelli affettivi.

Quando il clinico incontra un bambino con un sospetto di disturbo dell’apprendimento, per garantire, ai bambini-che saranno i futuri adulti- una qualità di vita sufficientemente sana e una integrazione sociale e lavorativa, si propone di fare, senz’altro, la valutazione delle capacità intellettive e delle capacità di apprendimento, ma poi, proporre ai genitori, anche una valutazione del funzionamento emotivo , spiegandone il senso e se emerge una fragilità emotiva pensare ad affiancare il percorso di riabilitazione anche un supporto psicoterapeutico: lavorare solo sulla difficoltà cognitiva rischia di essere inefficace se persiste la fragilità emotiva, il nucleo depressivo e la bassa autostima.

A cura di
 Francesco Montecchi 
Neuropsichiatria, psicologo-analista
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Tratto dal libro di F. Montecchi
Psicopatologia dell’infanzia e adolescenza-percorsi terapeutici-Franco Angeli Editore