I bambini e il mangiare: il rapporto con il cibo come rapporto con il mondo
Ogni bambino presenta uno schema individuale di alimentazione, di accrescimento così come è fornito di un modello individuale di personalità. Il primo incontro dei genitori con l’individualità del figlio passa attraverso l’alimentazione, che, oltre a costituire per il bambino una modalità relazionale estremamente importante, aprendolo alla conoscenza del mondo, è anche la prima rappresentazione di uno spazio decisionale tipicamente individuale. Ma l’alimento da ingerire, oggetto della fame, rappresenta anche il mondo nella sua globalità.
Mangiare diviene un modo per afferrare il mondo, mentre espellere ed evacuare equivalgono a produrre e creare. La zona orale assume il valore di zona “gnosogena”, perché non è solo fonte di piacere, ma anche di conoscenza della realtà, come mostrano i miti, le fiabe e i sogni. Tanto il bambino quanto l’adulto possono, infatti, esprimere il desiderio di possedere e introiettare gli oggetti del mondo attraverso la voglia di mangiarli (Neumann 1949, 1963).L’atto del nutrire e dell’alimentarsi non è solo soddisfare un bisogno per garantire la sopravvivenza ma è dall’inizio della vita un atto di relazione affettiva ma anche sociale e di comunicazione. Connotato di valori emotivi e di ricezione di informazioni, il cibo rende persona umana differenziata dal mondo animale.
È quindi necessario individualizzare l’educazione del comportamento alimentare, precursore di ogni successiva forma individuale di espressione e di sviluppo. Il bambino ,nell’essere nutrito, dalla figura materna impara il senso del piacere :il cibo buono oltre a soddisfare il gusto e l’appetito gli rinforza l’immagine della mamma buona da cui impara il piacere e il dispiacere nello stare al mondo e lo esercita alla affettività ,al provare affetti emozioni, e, più tardi, a viversi una buona sessualità.
Il senso del gusto e del piacere alimentare sviluppa attraverso una trasmissione transgenerazionale, divenendo veicolo della trasmissione di valori sociali, cultuali,affettivi, ma anche intragenerazionale come conoscenza, scambio, emulazione.
Già intorno ai 3-5-anni i bambini hanno già consolidato i loro orientamenti alimentari e la ritmicità dell’apporto alimentare (colazione, pranzo, cena). Ma tutto ciò non avviene attraverso un insegnamento razionale, ma attraverso la condivisione e l’esempio dato dai genitori e la spiccata tendenza che il bambino ha ad imitare:i bambini accettano volentieri alimenti nuovi non su sollecitazione ma perché li vedono consumare dai propri genitori o da altri bambini (Rosati,Generoso 2006).
Per ciò, ai genitori viene suggerito di non preoccuparsi dei rifiuti, evitare che il cibo sia una fonte di ansia e di far amare la tavola, di proporre i cibi in tavola apparecchiata in una atmosfera piacevole ,non da soli,mettendo in conto che nel corso della crescita episodiche avversioni per certi cibi sono fisiologici:le condotte fisiologiche del mangiare,evacuare,dormire ,in condizioni di buona salute,se lasciate funzionare spontaneamente non creano problemi,mentre si modificano in eccesso o in difetto quando diventano prioritariamente uno strumento di comunicazione o contenitori di emozioni sgradevoli.
Se i genitori non accettano le scelte alimentari del figlio, facendo prevalere sui suoi bisogni e desideri i loro schemi educativi e le loro convinzioni alimentari, questa prima forzatura della personalità del bambino troverà successivamente il suo equivalente nel mancato riconoscimento delle sue scelte di vita. Nonostante siano corrette e in armonia con le linee individuali di sviluppo del figlio, queste scelte non saranno ritenute valide e accettabili dalla famiglia, solo perché verranno considerate estranee alle fantasie, alle aspettative e alle norme familiari e collettive.
L’eccessiva importanza riconosciuta dai genitori a regole rigide riguardanti le quantità di cibo, le calorie, gli intervalli tra i pasti, la paura della superalimentazione o della sottoalimentazione, la pretesa di adeguare il bambino a standard di perfezione estranei al figlio, hanno l’effetto di rendere il bambino non un individuo diverso da ogni altro, ma un “meccanismo alimentare” da cui si pretendono determinate prestazioni, indipendenti dalla sua natura e capacità. A queste regole, imposte da genitori ansiosi e ossessivi, molti bambini non potranno ribellarsi. Il disagio di questi bambini, accumulatosi nel tempo, si manifesterà poi nei vari quadri della patologia alimentare. Potranno rifiutare il cibo, attraverso un comportamento anoressico, o sul versante opposto, adeguarsi alle richieste genitoriali, alimentandosi in modo indiscriminato e continuo, attraverso un comportamento alimentare compulsivo o bulimico.
Tratto da; Montecchi F. Il cibo mondo persecutore minaccioso-i disturbi del comportamento alimentare nell’infanzia e l’adolescenza-per comprendere,valutare,curare Franco Angeli editore Milano 2009