Le trasformazioni adolescenziali e l’esordio del disturbo alimentare

Questo complesso intreccio di trasformazioni fisiche, endocrinologiche e psicologiche, che scandisce il normale passaggio adolescenziale, può far emergere manifestazioni morbose, tipiche di quest’età il cui fulcro è costituito dal tema corporeo. La fisiologica “crisi adolescenziale”, in particolari situazioni, nelle quali è evidente un antico disagio del bambino/a e della famiglia, assume differenti caratteristiche patologiche, dove la scelta del linguaggio sintomatico cambia in base a una complessa rete di variabili individuali, familiari e sociali.

La risposta che la famiglia fornisce ai cambiamenti dell’adolescente e il modo con cui ne accoglie la nuova presenza corporea assumono un’importanza fondamentale. La gratificazione, la rassicurazione, il rinforzo positivo sono i presupposti basilari per mantenere questo momento critico entro ambiti di normalità, che diverrebbero patologici se la famiglia rispondesse invece con la svalutazione, con la derisione e con la richiesta di una corporeità non rispondente all’individualità del giovane, ma al mondo interno dei genitori e alla loro idealizzazione dei figli.

Se l’adolescente ha, fin dall’inizio della sua storia, fatto esperienza di una madre sufficientemente capace di adattarsi alle trasformazioni corporee della gravidanza e del parto e di accudire il corpo del figlio , potrà adattarsi senza troppi traumi alle trasformazioni fisiche, stabilendo un rapporto di cura e di confidenza con il proprio corpo. Pur riconoscendone i difetti (l’acne, i cuscinetti di grasso, le braccia troppo lunghe, il naso storto, ecc.), potrà imparare a prendersi gradualmente cura del suo corpo, cercando di migliorarne quanto più possibile l’aspetto, accudendo in vari modi se stesso, come la madre aveva fatto con lui alla nascita. Ma se la prima esperienza di accudimento e di adattamento alle trasformazioni corporee è stata problematica, l’adolescente non potrà fruire di una buona esperienza appresa dalla propria madre, e si troverà privo di risorse a cui attingere.

È questo ciò che accade, nella patologia anoressica e bulimica, dove la difficoltà con il corpo e con il cibo traduce, in un linguaggio somatico e concreto, le difficoltà vissute con le percezioni corporee, con le emozioni e con le relazioni; la difficoltà di relazione con il mondo diventa la difficile relazione con il cibo-mondo, le emozioni sono rilette come percezioni corporee, mentre le diverse pulsioni, specie quelle sessuali e aggressive, vengono ricondotte alla primitiva pulsione della fame. La dominanza di un’area problematica sulle altre, che si osserva all’esordio della sintomatologia, consente di evidenziare le diverse forme cliniche.

In una fase esistenziale nella quale bisogna uscire dalla famiglia ed entrare in relazione con il mondo esterno, l’adolescente traduce la sua difficoltà a entrare in rapporto con un mondo sentito come pericoloso e persecutorio nella difficoltà di rapportarsi con il cibo. Il cibo-mondo è un oggetto fortemente desiderato e irraggiungibile, o minaccioso e cattivo che  non può far entrare dentro di sé o che deve vomitare dopo essersene nutrita. L’oralità si carica di significati simbolici che riportano la ragazza alle prime fasi di vita, quando portare alla bocca un oggetto era il modo per conoscerlo e quando attaccandosi al seno materno veniva in contatto con tutto ciò che era altro da sé. Il cibo diviene allora l’oggetto sul quale veicolare tutte le difficoltà relazionali, trasformando la patologia delle relazioni in patologia del rapporto con il cibo.

L’emergere violento delle pulsioni sessuali e aggressive viene letto attraverso il linguaggio arcaico della fame. Come da bambina la fame e il rapporto con il cibo avevano permesso di esprimere un complesso intreccio di amore e odio, veicolando sensazioni piacevoli e spiacevoli, così da adolescente  riutilizza questo linguaggio per comunicare agli altri il proprio mondo emotivo. La difficoltà di gestire queste pulsioni si traduce nella difficoltà di gestire la fame, che è la prima pulsione che il bambino ha sperimentato.

Negando la fame e obbligandosi al digiuno, l’anoressica nega un mondo emotivo che la spaventa e che non si sente capace di gestire in modo appropriato. Anche la difficoltà a gestire le proprie emozioni, sentite come inaccettabili e incontrollabili, utilizza la veste concreta del cibo e del corpo. Il rapporto difficile con le proprie emozioni assume le caratteristiche di un rapporto problematico con il proprio corpo, rievocando quella fase neonatale in cui le emozioni venivano rappresentate ed espresse attraverso le fruizioni fisiche e il contatto corporeo.

Parlando il linguaggio antico della fame, questa rete di difficoltà, in cui corpo, emozioni e relazioni sono le tre aree problematiche, assume un carattere regressivo che tenta di negare il processo trasformativo dell’adolescenza. Rifiutando di nutrirsi, l’anoressica rifiuta anche di crescere e di assumere la sua nuova identità. Lo sviluppo puberale obbliga infatti il ragazzo e la ragazza a una trasformazione corporea che prescinde dalla volontà e che assegna loro un’identità sessuale ineluttabile.

Soprattutto nel caso della ragazza, l’assunzione di un’identità femminile può essere sentita come particolarmente rischiosa perché la espone a un rischio di dipendenza e perché la obbliga a “coabitare” con un corpo femminile, che già dalle prime fasi di vita, attraverso il rapporto con la madre, è stato vissuto in modo problematico. La perdita del corpo infantile e l’acquisizione di inequivocabili tratti sessuali può essere percepita come una profonda ferita narcisistica, che la incatena a un femminile-materno problematico; attraverso la negazione del corpo e dei suoi aspetti sessuati, l’anoressica e la bulimica cerca di superare questa frustrazione.

Con la sua totale negazione del corpo, del sesso, della morte, lancia una grande sfida, facendo entrare la morte nel cuore della vita. In tal modo porta alle estreme conseguenze quel processo di sfida e di metamorfosi, intesa come morte di alcune parti per la rinascita di altre, che è l’aspetto caratteristico dell’adolescenza.

Tratto da: Montecchi F. Il cibo mondo  persecutore minaccioso-i disturbi del comportamento alimentare nell’infanzia e l’adolescenza-per comprendere, valutare, curare Franco Angeli editore Milano 2009